Guè, artista italiano è oggi residente a Catania, città che ha ospitato i suoi natali. L'approccio all'arte avviene fin dalla sua primissima infanzia, infatti il padre, pittore, lo introduce a quel mondo di cui fa parte. I suoi primi approcci maturi alla pittura avvengono tramite il writing dell'ambiente underground catanese, per poi arrivare ad un'estetica molto raffinata e sofisticata. La sua ricerca si evolve dentro una struttura di codici che ben obbediscono ad una determinata logica e ad un linguaggio che lo caratterizza sia formalmente che esteticamente in maniera molto netta e definita. Un linguaggio personale che sviluppa una visione sospesa, per suggerire un immaginario astratto dentro cui muoversi per instaurare un dialogo con l'opera. Gli elementi scomposti delle sue opere tendono a manifestare una sintesi di sensazioni positive e serene, dialogando, per questo, in maniera quasi eterea, con l'ambiente in cui si trovano, così da valorizzare il dialogo tra loro, l'urbano e l’uomo.
Chi è Guè?
Guè è l’acronimo di Marco Mangione. Stimolato dall'ambiente artistico familiare, fin dall'infanzia ho praticato il disegno inventando personaggi e fumetti, rivelando un innato senso compositivo. Ho conosciuto l'ambiente del graffiti writing nei primi anni del 2000, indagando e sperimentando sulle possibilità espressive che mi hanno poi avvicinato all'arte urbana contemporanea.
La mia ricerca sviluppa un sistema di codici formali che seguono una determinata logica, un linguaggio segnico che ha le sue regole e i propri canali di riferimento. Una grammatica personale che si esprime in una visione sospesa, per suggerire universi possibili attraverso una figurazione che confina con l'astratto, partendo da uno sviluppo legato a caratteri e personaggi iconici che mi hanno accompagnato sin dall'inizio del mio percorso artistico.
La scomposizione degli elementi è il risultato di una ricerca verso la sintesi che tende a manifestare vibrazioni positive e serene, ma anche verso la rappresentazione di uno "spazio flessibile", un dialogo aperto con l'architettura e l'ambiente.
Perché fai arte pubblica?
Fare arte pubblica ha importanza nel panorama delle esperienze vissute, nel dialogo con l'osservatore, approfondendo la percezione di un luogo. Le motivazioni dell'interesse a realizzare qualcosa nello spazio pubblico nascono da un bisogno di evasione, la direzione del graffitismo si sviluppa come necessità di nuove possibilità espressive. Durante questo percorso si sono sviluppati nuovi principi di lettura dello spazio, verso un'arte pubblica che tende all'equilibrio e alla sintesi.
Mi piacciono gli interventi in sintonia col paesaggio che riescono a dilatare l'ambiente che li accoglie.
Quanto il tuo lavoro è site-specific?
Durante le fasi del mio lavoro, la progettazione in studio costituisce quella più importante. Precede quella della realizzazione ed è sempre la fase più lunga, che richiede sforzi maggiori.
Tuttavia, si tratta di una progettazione in costante collegamento con il luogo dell'intervento, attraverso fotografie di contesto e consultando fonti di diversa natura.
Un'operazione che pur non svolgendosi nello spazio fisico mantiene gli aspetti di un’indagine site-specific.
Il tuo lavoro a Castrofilippo e il rapporto con il territorio
Il periodo a Castrofilippo è stato molto importante per me. Il progetto tratta di una serie di interventi di grande formato, realizzati negli ultimi anni.
Il luogo, proprio per essere un piccolo centro, ha manifestato un interesse e un coinvolgimento da parte di tutti, difficile da trovare in grandi città e metropoli europee.
Tra gli interventi murali realizzati nel territorio, trovo molto significativo quello collocato nella villetta comunale, lo considero un passaggio importante negli sviluppi della mia ricerca.
Si tratta del primo intervento privo di significati descrittivi, la concezione di nuovi sistemi di sviluppo.
L'operazione estetica e sociale che svolge l'associazione cufù è molto importante a Castrofilippo gli interventi artistici sul territorio, le attività di laboratorio, la musica e le esposizioni caratterizzano un appuntamento annuale importante per l'identità del luogo.
Alberonero, artista di origine lombarda, nasce a Lodi, dove vive attualmente. Completa i suoi studi iscrivendosi al corso di Interior Design al Politecnico di Milano. Per Alberonero il quadrato è la forma geometrica su cui ascrivere il suo studio sui colori. Infatti, in tutti i suoi lavori, il quadrato è il protagonista formale dell'opera in cui, gamme cromatiche sovrapponendosi l'una all'altra, creano un percorso tonale che proietta l'opera, minimalista ed astratta, in una interazione con l'uomo e l'ambiente circostante. La sua ricerca, oggi, si spinge anche oltre il muralismo, cercando supporti diversi in grado di far comunicare, e rendere ancora più organica, la sua opera con la natura e con gli elementi architettonici in cui essa è installata.
Chi è Alberonero?
Alberonero è l’alterego di Luca Boffi e nasce dalle montagne, da un’esperienza fatta a 15 anni a 2000 m di altezza. Quindici giorni immerso nella natura dove scrivevo poesie e intanto mi avvicinavo, affezionandomi, alla figura dell’albero nero. Acronimo che ho deciso di mantenere nel tempo anche perché in contrapposizione con il percorso sul colore che sto affrontando da anni.
Perché fai arte pubblica?
Faccio arte pubblica perché deriva da un istinto intimo che risale a quando avevo 15 anni e andavo in giro e scrivevo poesie e lettere sui muri. Ma anche grazie alle persone di cui mi sono circondato e con cui sono cresciuto, attaccandomi ai discorsi sull’arte pubblica e soprattutto sui graffiti.
Studiando al Politecnico di Milano ho iniziato la progettazione dello spazio, riuscendo a unire all’istinto artistico le basi tecniche; dando così una ricerca più sensata a tutto quello che facevo.
Mi interessa molto il lavoro nello spazio pubblico, sia a livello di muralismo che di costruzione. Penso ci sia veramente la necessità di ripensare lo spazio urbano, soprattutto i luoghi più problematici del sud Italia e della Sicilia. Lavorare in un luogo pubblico ha un valore molto alto, in quanto si deve osservare una certa inclinazione al lavoro partecipativo e all’altro.
Valori che bisogna avere all’interno della progettazione urbana.
Quanto il vostro lavoro è site-specific?
Il mio lavoro nasce dal ridisegno dello spazio architettonico preesistente, quindi ogni edificio ha le sue caratteristiche. Il mio linguaggio permette di adattarmi in maniera camaleontica a ogni tipologia di parete, questo rimane un valore importante per la mia ricerca. Il fatto di non avere delle forme riconoscibili, ma semplicemente una forma definita, è la base del disegno originario: il quadrato, e attraverso questo utilizzo le tonalità di colore per risaltare il rapporto con l’intorno, il contesto e il territorio. Le luci e le ombre sono particolarmente importanti nel mio lavoro, rispetto alla forma che scelgo.
Il tuo lavoro a Castrofilippo
Sono particolarmente affezionato a questo lavoro. Distance - 158 toni è un progetto riuscito bene grazie alla proposta molto caratteristica del gruppo di lavoro cufù. La condizione site-specific ha funzionato molto in quanto gli edifici sono unici. Ho scelto di fare uno degli interventi più architettonici che abbia mai realizzato attraverso la mia pittura, lasciando a nudo una parte di edificio e pensandolo come una riflessione su quello che si costruisce. In tal modo si invita il pubblico a un’osservazione su ciò che è costruito, e poi dividendo l’edificio con una porzione ridipinta uniforme con colori che spumano per tutta la piazza.
C’è una nuova ricollocazione dell’abbandono e dell’edificio che prima ha una forma e poi la perde per diventare qualcosa di nuovo.
Ho sempre cercato un dialogo con le forme semplici e comprensibili, partendo dalle griglie che sono alla base della nostra visione urbana. Incastrare le griglie all’interno degli elementi architettonici ha un valore comunicativo. Le architetture sono costruite da griglie, progettate nelle fondamenta e questo per me è un discorso molto intimo.
SBAGLIATO, progetto artistico fondato nel 2011, nasce dal desiderio di generare un’interferenza nel tessuto urbano, creando “varchi” all’interno dell’ordine rigido composto dalle architetture.
Tale esigenza si esprime e realizza attraverso l’utilizzo del poster, mezzo di comunicazione ideale per la sua natura effimera e per l’attitudine mimetica, caratteristiche distintive della poetica del gruppo.
Le installazioni visionarie di SBAGLIATO sono il risultato di una sinergia tra architettura, grafica, fotografia e collage, attraverso la quale gli elementi architettonici possono essere “campionati”, elaborati e riproposti nel contesto urbano, in modo eterogeneo ma non casuale.
Chi è Sbagliato?
Sbagliato è un collettivo composto da tre architetti e designer romani.
Perché fate arte pubblica?
Siamo cresciuti in una delle città con più stratificazione storica in assoluto. Uno di quei casi in cui vivi fisicamente insieme alla storia. I vari ruderi sparsi per la città diventano vere e proprie persone: i veri abitanti di Roma. Riescono a comunicare con te in vari modi e se si osservano con attenzione, possono raccontarti ciò che hanno vissuto e farti capire la città in ogni suo minimo aspetto.
Questa particolare percezione della città ci ha portato a voler interagire con la realtà urbana.
Fin da subito l’approccio è stato quello dell’arte pubblica. I primi soggetti con cui abbiamo lavorato, ovvero piccoli elementi architettonici, erano stati presi dalla strada e reinseriti nella strada stessa. Effettivamente non c’è stata una scelta di voler portare la nostra arte sul contesto urbano: noi siamo nati dall’urbano e non potevamo pensare di lavorare altrove.
Come mai la scelta del poster, tecnica effimera per eccellenza?
Abbiamo deciso di farlo tramite una tecnica effimera semplicemente perché non sentivamo il bisogno di aggiungere. La volontà di lasciare un’impronta è evidente ma non vogliamo che rimanga permanente. Il lavoro che facciamo deve essere osservato in un momento determinato, per poi scomparire.
Ovviamente qui si innesca un discorso di documentazione del lavoro che diventa l’unico modo per far continuare a vivere l’opera. Riuscire a impressionare quel momento specifico per poi renderne possibile la condivisione anche in futuro.
Quanto il vostro lavoro è site-specific?
Cerchiamo sempre di creare un contatto con il luogo dove lavoriamo sia con l’architettura stessa, che ospiterà la nostra opera, sia con l’atmosfera e la storia del luogo.
Il vostro lavoro a Castrofilippo
Macrosomia: Il soggetto scelto deriva dalla fontana dei quattro fiumi a Roma. Il Barocco romano del Bernini viene portato in Sicilia e viene mostrato nei suoi dettagli perfetti senza però riuscire mai ad avere una visione completa del corpo ingigantito. Il colosso intrappolato e diviso nelle sei facciate delle palazzine popolari di Castrofilippo è una metafora della Sicilia: una bellezza disarmante che non riesce a uscire e farsi mostrare come vorrebbe perché frammentata.